Rivista internazionale di architettura e arti del progetto novembre/dicembre 2012

Cino Zucchi: dal MIT al Politecnico e ritorno
Proporre una lettura critica di un architetto e di un lavoro che ti è tanto vicino sia sul piano personale che professionale può comportare il rischio di una visione non obiettiva, sfocata dall’impossibilità di una messa a fuoco che viceversa, solitamente, richiede una certa distanza. Tuttavia la conoscenza diretta delle opere, dello studio, degli apparati e dei percorsi biografici e bibliografici, non può che risultare positiva per una ricerca dove più che le parole contano i fatti, rispetto alle congetture, gli edifici, oltre i disegni, le pietre e la materia costruita. In effetti la produzione di Cino Zucchi ha raggiunto un livello di maturità e completezza riscontrabile nella diversità dei temi e delle occasioni che muovono dalla residenza singola agli edifici collettivi, dalla piazza al palazzo per uffici, dalla chiesa al museo, mostrando una capacità di lettura di temi e contesti che hanno consolidato la sua azione ed il suo pensiero proponendolo sia a livello italiano che internazionale come una delle figure più complete e convincenti del panorama architettonico europeo. A mio giudizio, l’aspetto più interessante del suo lavoro, ancora non bene messo in luce dalla critica, è la sua ricercata ortodossia dell’eterodossia nel senso di una proposta coerente ma libera da schematismi linguistici, riconoscibile ma priva di ossessioni calligrafiche che pure hanno un peso ed un valore all’interno del suo lavoro. Con un atteggiamento non frequente per la cultura architettonica italiana, forse frutto delle giovanili frequentazioni americane, il lavoro di Cino si muove senza dogmi, libero, eclettico nel senso più contemporaneo di una comprovata duttilità che muove da Gabetti e Isola a Steven Holl. Naturalmente ciò mette in difficoltà coloro che ne volevano fare il paladino di una rinnovata tendenza, che vedevano nella sua Casa di Venezia alla Giudecca un’esperienza intimista legata alla lettura di fatti urbani, limitata all’interno del ristretto cerchio del centro storico, come se la città non fosse una moltitudine di eventi stratificati nel tempo e nello spazio tali da richiedere una medesima attenzione e dignità per ogni sua parte, antica o recente. Dignità che la sua esperienza nella progettazione di parti di città e masterplan urbani sembra ricercare come misura di una città consapevole e abitabile, nuova ma allo stesso tempo conosciuta, dove il portico e il balcone non esprimono né il senso di una inutile nostalgia, né elementi di una tradizione da cancellare ad ogni costo perché, sembra sostenere Zucchi con i suoi disegni, ancora piace affacciarsi alla finestra e camminare per negozi senza prendere la pioggia.
Si tratta di un realismo contemporaneo che non è semplicemente situazionista o attratto dal caso per caso, quanto di un atteggiamento nei confronti del progetto assolutamente sperimentale nel senso del compiersi di un’esperienza che è il frutto di un necessario dialogo tra pensiero e azione, realtà e immaginazione o, rogersianamente (con ciò so di fare un piacere a Cino e ai suoi più cari riferimenti) memoria e invenzione.

Marco Casamonti

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Download “Sentimental education, a dialogue among Marco Casamonti, Pier Paolo Tamburelli and Cino Zucchi. Milan 2012”