Riflettere sul rapporto tra acqua e architettura significa aprire scenari e ambiti di indagine così vasti e articolati da scoraggiare qualsiasi settore di ricerca che non sia necessariamente più circostanziato e ristretto. In effetti le discipline connesse a tale relazione biunivoca spaziano dagli studi urbani – giacché la genesi di molte città è intimamente legata alla presenza dell’acqua sia che si tratti di fiumi, laghi o del mare –, alla ricerca di soluzioni scientifiche per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici dominati dall’eccesso o dalla scarsità di acqua, fino all’ingegneria idraulica, all’ingegneria costruttiva, agli studi idrogeologici… e potremmo certamente continuare a lungo nell’elenco se non fossimo focalizzati, per coerenza con la nostra missione editoriale, a indagare il valore figurativo e immaginifico dell’acqua rispetto alle discipline della progettazione architettonica. Ma anche limitando il campo alle interferenze compositive tra solido e fluido, tra fissità degli edifici e fluttuazione dell’acqua, le categorie di indagine appaiono ancora amplissime e differenti per comportamenti, soluzioni e tipologie muovendo dal castello, al lungofiume, dal porto alla diga, dal ponte al giardino, dall‘acquedotto alla fontana, secondo una infinità di casistiche tali da farci rinunciare ad un approccio di tipo scientifico. Probabilmente la via di uscita da tanta fluida indeterminatezza risiede nel considerare l’acqua come uno degli elementi principali del paesaggio sia esso urbano che naturale e coerentemente trattare l’argomento in termini di implicazioni compositive quale elemento straordinario di una narrazione che nell’incontro con la terra non può essere sottaciuto.

 

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