Superficialmente si sente spesso affermare, come vulgata popolare, che la morte e le malattie rappresentano la massima espressione di democrazia della società perché colpirebbero tutti indistintamente. Viceversa sappiamo bene che non è così perché condizioni ambientali, sociali, quindi economiche e psicologiche, influiscono direttamente sulla durata media dell’aspettativa di vita e sulla qualità intrinseca dell’esistenza umana. Figuriamoci le possibilità e l’accuratezza delle cure. In questa primaria esigenza di benessere i luoghi e le infrastrutture per la salute rivestono un ruolo assolutamente centrale secondo soltanto alla disciplina medica in senso stretto. Va ricordato, anche se ormai si tratta di una visione acclarata, che in ambito medico lo sforzo della comunità scientifica è sempre più orientato alla valorizzazione delle strutture diagnostiche e di prevenzione che hanno l’esigenza di essere diffuse e disponibili sul territorio in maniera vasta e potremmo dire polverizzata (medicina di base e territoriale); mentre le cure di patologie certe, specie quelle ad elevata complessità, richiedano al contrario una specializzazione sempre più alta e quindi una concentrazione operativa in grado di associare alle strutture ospedaliere le università e i centri di ricerca avanzata. Dobbiamo quindi comprendere la necessità e la coesistenza di due modelli a scala micro e macro, dove la misura intermedia, quella del medio ospedale, male si coniuga sia con la flessibilità e la quotidianità del rapporto tra il cittadino e il controllo del suo stato di salute, sia con la richiesta di prestazioni altamente specializzate. L’impatto complessivo dovrebbe appunto essere bilanciato in relazione alle condizioni rilevate ma resta in dubbio che dal punto di vista dei luoghi per la salute ai progettisti sia richiesta la capacità di risposta a scale completamente diverse. Allo stesso tempo è compito riservato all’architettura come disciplina la capacità di coniugare le esigenze di flessibilità e aggiornamento tecnologico delle infrastrutture con l’esigenza di realizzare luoghi “solidi”, sicuri, impiantisticamente performanti, quindi complessi. A ciò si deve aggiungere l’importanza del benessere psichico del malato come elemento coadiuvante della cura, che è direttamente correlato alla qualità degli spazi in cui le persone si trovano per necessità. All’architetto, ma principalmente ai suoi committenti sul piano strategico e agli obiettivi progettuali, il compito primo di alleviare la sensazione di costrizione e obbligatorietà di un abitare innaturale, purtroppo diverso dall’ambito domestico e familiare, coniugandolo con l’esigenza della coabitazione tra chi soffre, chi cura, opera, assiste, studia o fa ricerca. In un quadro tanto articolato e ibrido le conosciute tipologie, che si studiavano un tempo nei corsi di caratteri distributivi degli edifici, appaiono del tutto desuete e incapaci di rispondere alle esigenze di oggi. Per questo una attenta ricognizione dal punto di vista architettonico sulle più avanzate strutture sanitarie appare oltremodo indispensabile per avviare una più ampia riflessione di cui si sente, in maniera generalizzata, una assoluta necessità.

 

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