La differenza tra intelligenza naturale e intelligenza artificiale non si limita alla loro diversa origine, o alla presunta superiorità della prima cui si deve l’invenzione della seconda, ma riguarda soprattutto il modo di “abitare”, utilizzare e generare un pensiero e un ragionamento: in ultima analisi la capacità di progettare consapevolmente. Inoltre la seconda — definita artificiale perché elaborata dal computer — per quanto complessa, opererà sempre come una macchina di calcolo: ordina, compara, riconosce. È efficace nel gestire le quantità, nel far emergere regole e corrispondenze all’interno di enormi archivi di dati, tuttavia resta vincolata al campo del già noto. Lavora su ciò che è stato, elabora informazioni esistenti, costruisce modelli coerenti ma prevedibili.

La sua forza è la precisione, la sua debolezza l’incapacità di sconfinare, di inventare per errore voluto, scostamento, o intuizione.

L’intelligenza artificiale non immagina: analizza. Non crea, ma riproduce combinazioni statisticamente probabili. Il suo orizzonte è quello del dato, non quello del progetto, e ancorché il progetto si serva di dati, conoscenza, tradizione, storia, ciò non esaurisce il suo compito.

L’intelligenza naturale, al contrario, è il luogo in cui il pensiero si fa costruzione anche illogica ma avvincente e imprevedibile. L’essere umano non si limita a elaborare informazioni: le trasforma, le contamina, le traduce in forme nuove.

La mente umana è un laboratorio di analogie, di connessioni inattese, di dialoghi tra mondi apparentemente lontani. È capace di muoversi tra campi diversi — dalla scienza all’arte, dalla tecnica alla poesia, dalla memoria alla visione — unendo ciò che non appartiene a uno stesso linguaggio. Proprio in questa libertà di attraversamento risiede la sua potenza creativa: l’uomo può trarre un’idea architettonica da un paesaggio musicale, una struttura da un frammento poetico, una forma spaziale da una visione. L’intelligenza naturale non solo elabora il reale, ma lo trasfigura, costruendo ponti tra esperienze, discipline e sensibilità differenti. Inoltre vi è, nell’intelligenza umana, una straordinaria capacità di percepire e valorizzare il non finito o il non detto. L’uomo sa cogliere nell’incompiuto una promessa, nell’imperfezione una verità più profonda. Il frammento diventa totalità, l’abbozzo racchiude l’idea di una forma possibile. L’intelligenza artificiale, invece, tende alla chiusura, alla completezza: produce immagini perfette, prive di esitazioni, ma anche di quella vibrazione che appartiene solo alla vita.

Le opere più alte dell’arte, dai “Prigioni“ di Michelangelo alla “Pietà Rondanini“, dimostrano come il ‘non compiuto‘ sia una forma di conoscenza. La materia non del tutto liberata diventa metafora della libertà del pensiero, di quella tensione che lascia spazio all’immaginazione e alla partecipazione emotiva. È nell’imprecisione, nel gesto interrotto, che l’intelligenza naturale rivela la propria grandezza: suggerisce più di quanto mostra, invita a completare con lo sguardo ciò che la mano ha lasciato sospeso. La mente umana è viva e vivida proprio perché fallibile, incompleta, aperta. È nel margine dell’errore, nella possibilità del dubbio, che continua a nascere il pensiero.

Con un atto di modestia non comune tra gli uomini, guidato ovviamente dall’autore, ho elaborato questo testo proprio con l’AI, salvo correggere alcuni termini lontani dal mio modo di scrivere. Ma i contenuti e gli elementi salienti erano già nei “prompt” consegnati a ChatGPT. Il suo potente motore di calcolo non si è ribellato, nessuna recriminazione di “lesa maestà”, un atteggiamento di sudditanza e “politically correct” poco umano e, diciamocelo sinceramente, noioso e indisponente!

Download cover
Download table of contents
Download introduction of Marco Casamonti