In seguito alle innovazioni tecnologiche, e dopo l’esperienza del periodo pandemico, possiamo sicuramente affermare che il luogo del lavoro sta vivendo una fase di grande rivoluzione, sia in termini di spazi fisici che nel valore che gli attribuiamo. L’ufficio pensato secondo una modularità “a stanze”, considerato prevalente fino alla fine del XIX secolo, è un modello che viene dalla struttura vasariana degli Uffizi (1560-83), in cui la configurazione con una sequenza di ambienti comunicanti simula la lavorazione della documentazione cartacea. Ma ancora con Louis H. Sullivan, per quanto grazie alla tecnica fosse riuscito ad introdurre la stravolgente innovazione tipologica del grattacielo, la struttura degli uffici rimane ancorata al modello del “cellular office”. Per assistere alla prima vera rivoluzione bisogna attendere Frank Ll. Wright con il progetto del Larkin Administration Building (1906) con il quale si interrompe il modello “a stanza” e si introduce uno spazio aperto – un open space diremmo oggi – privo di divisioni interne.

Questa è sicuramente la prima grande rivoluzione dell’ambiente di lavoro che ha dato il via alle sperimentazioni del Novecento con gli esempi illustri che vanno da Eero Saarinen fino alle tipologie contemporanee portate avanti dallo studio spagnolo Selgascano con i progetti Second Home.

Nel corso degli anni area ha affrontato più volte il tema riguardante gli spazi dedicati al lavoro cercando di declinarlo ogni volta secondo prospettive critiche diversificate, ma questa volta, con il numero di area interior, è nostra intenzione soffermarci sulla trasformazione interna di questi ambienti.

Negli ultimi anni gli uffici sono diventati sempre più simili agli spazi domestici. Guardiamo i primi esempi degli Headquarter di Google dove l’idea di infantilizzare la forza lavoro rendendo l’ufficio un grande parco giochi è risultata totalmente fallimentare per l’iper-stimolazione a cui i dipendenti risultavano essere sottoposti dalla presenza di attività sempre diverse.

Nel XXI secolo è stato definitivamente abbandonato il modello della “separazione delle sfere” che ha imperato per tutto il secolo precedente in cui le 24 ore della giornata venivano scandite da un ritmo di 8: otto ore di riposo, otto ore di divertimento e otto ore di lavoro, poiché grazie all’introduzione delle nuove tecnologie siamo diventati sempre e ovunque connessi, sviluppando la capacità di interagire con estrema facilità con persone sparse in tutti i continenti. Insomma, oggigiorno l’ufficio non è più un luogo chiuso ma sempre di più uno spazio privo di confini.

Il rischio, ormai ampiamente corso, è che il mondo del lavoro, quello della casa e del tempo libero si siano troppo mescolati come ci illustra brillantemente Jeremy Myerson, accademico e professore emerito della Royal College of Art, nell’intervista che ci ha concesso raccontandoci come questa tendenza porti all’eliminazione di quei limiti – fisici e mentali – necessari a stabilire ciò che è lavoro e ciò che è vita privata.

L’ufficio nei prossimi anni non scomparirà ma sicuramente dovrà subire un cambiamento radicale. La sua struttura non sarà più quella di una sequenza ripetitiva ed estraniante di file di scrivanie tutte uguali fra loro ma dovrà essere un luogo che permetterà una scansione dinamica della giornata lavorativa fatta di momenti di maggiore concentrazione, altri di relax e socializzazione, di networking e scambi di idee.

Per questo i progetti che proponiamo in questo numero vogliono raccontare questo nuovo panorama poliedrico attraverso la presentazione di varie tipologie: da sistemi uffici più canonici e tradizionali a quelli più complessi fatti di spazi misti dove l’alternanza lavoro-relax risulta ben evidente.

Download cover
Download table of contents
Download introduction of Laura Andreini