Rivista internazionale di architettura e arti del progetto marzo/aprile 2017

Small works
In questi ultimi anni di lavoro abbiamo spesso alternato grandi progetti a piccole architetture maturando la convinzione che la dimensione del progetto sia spesso del tutto indifferente rispetto alle riflessioni disciplinari ma anche, e soprattutto, rispetto all‘esito e la fortuna dello stesso e, in definitiva, del suo valore. Anzi talvolta il grado di complessità di un‘opera costretta dalla dimensione richiesta a confrontarsi direttamente e compiutamente con spazi ridotti introduce un livello di difficoltà difficilmente riscontrabile in edifici o sistemi architettonici di grandi dimensioni. Sul piano della riflessione teorica abbiamo spesso cercato di studiare il tema della scala minuta dedicando negli anni alcuni numeri della rivista (vedi Area 98 intitolato “Small works”) alla ricerca delle specificità di una architettura che deve compiersi all‘interno di ambiti contenuti. Senza la pretesa di costruire alcun manifesto possiamo convintamente sostenere che l‘architettura come arte di scopo si confronta essenzialmente con tre sistemi di misura: la scala umana, la scala urbana e la scala del paesaggio. Volendo estremizzare, tali sistemi si riconducono sostanzialmente a due, giacché la scala urbana mostra l‘essenza del proprio valore nel momento in cui la città, per dirla con un termine talvolta desueto, dimostra la propria “adattabilità” alla misura umana. Allora se al centro del nostro lavoro, come architetti, poniamo la qualità della vita e quindi dell‘abitare, ecco che la sola scala praticabile è quella umana mentre tutto il resto attiene al paesaggio, sia esso urbano che naturale. Senza voler scomodare ricerche note che hanno caratterizzato l‘inizio del secolo scorso in particolare riferite alle intuizioni lecorbuseriane, il corpo umano, le attività che questo compie, le attività che intorno ad esso si compiono, costituiscono o almeno, dovrebbero costituire, il centro di ogni nostra ricerca in ambito progettuale. Per tali motivi i progetti di piccola dimensione possono diventare esemplificativi e chiarificatori, perché nella loro essenzialità non possono che riferirsi al centro d‘interesse dell’agire dell‘architetto; in sostanza più la scala si riduce tanto più queste capacità o qualità emergono senza alcuna possibilità di fraintendimento: o l’architettura, come arte, come espressione, è utile allo svolgimento delle attività umane oppure, paradossalmente, il progetto non è arte e quindi non è architettura. Per tali motivazioni, pur nella brevità della trattazione, dobbiamo riconoscere a questa dimensione progettuale un valore didattico e demiurgico che talvolta risulta inversamente proporzionale alla scala del lavoro. Come dimostrano le pagine che seguono, c‘è molto da imparare e da studiare da questo microcosmo che spesso caratterizza le fasi iniziali del lavoro e della carriera di molti architetti mostrando pertanto anche una freschezza di contenuti e di idee che spesso, e purtroppo, svanisce negli anni e nei metri quadrati coinvolti.

Marco Casamonti

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