Rivista internazionale di architettura e arti del progetto maggio/giugno 2017

Public Nature
Non è certo la prima volta che Area si occupa di paesaggio e, pur trattandosi di argomenti che rimandano a progetti difficilmente descrivibili attraverso il ristretto campo di osservazione dell‘immagine fotografica incapace o meglio impossibilitata a descriverne l‘assieme, torniamo spesso sul tema perché riteniamo che appartenga senza distinzioni alla disciplina del progetto e quindi dell‘architettura. Nel numero 127 intitolatoIdentity of the landscape” terminavo lo scritto di presentazione con un assunto che costituisce l‘incipit del numero e quindi dell‘attuale ricerca: “… l‘architettura alla scala del paesaggio [rappresenta] un‘interpretazione dei luoghi proposta e narrata come esperienza e finalità collettiva”. Ecco, a ben vedere, in questo assunto sono racchiuse le differenze e quindi il valore tra l‘architettura in senso stretto, zevianamente un luogo che contiene uno spazio, e la dimensione del paesaggio intesa come un luogo che mette in scena lo spazio. Si tratta cioè di dimensioni progettuali diverse, l‘una tutta compresa nella soglia tra pubblico, la facciata, e privato, lo spazio racchiuso dall‘involucro costruito, l‘altra totalmente pubblica perché niente racchiude ma tutto accoglie. Tale dimensione collettiva del paesaggio appartiene tanto all‘ambito urbano fatto di strade e piazze, quanto al contesto naturale antropizzato, parchi, giardini, waterfront, belvedere e ogni altro luogo dove il pensiero abbia dialogato o meglio modificato “la crosta terrestre“ come ha sottolineato William Morris. Differentemente dalla casa per la famiglia o la scuola per lo studente o ancora dal teatro e il cinema per i cultori dello spettacolo, il parco, in senso lato, rappresenta un‘arte per tutti dove la dimensione collettiva e quindi pubblica è inevitabilmente compresa nell‘idea stessa di natura. Ovviamente esistono e sono sempre esistiti giardini privati anzi privatissimi e inaccessibili ai più ma la dimensione naturale quasi sempre aperta e non coperta rende lo spazio naturale comunque sempre abitato e abitabile se non dall‘uomo dalle altre specie viventi. La conseguenza di queste logiche asserzioni porta ogni progetto di e nel paesaggio al centro di ogni speculazione conoscitiva sostenuta da quella sostanza etica di cui l‘architettura si nutre come alimento principale. E ancora, se la logica delle arti del progetto, quindi di tutte le arti, ha come finalità la narrazione, il progetto di paesaggio per la natura collettiva ora descritta non può che rappresentare nella gerarchia della differenti discipline che popolano il campo dell‘estetica un posto d‘onore, un ruolo privilegiato che forse pochi gli riconoscono ma che senz‘altro è concreto, reale, indiscutibile.

Marco Casamonti

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