Rivista internazionale di architettura e arti del progetto gennaio/febbraio 2021

I 100 anni di Tirana

Dopo Firenze Tirana è la città che conosco meglio, ma in fondo a Tirana c’è molto di Firenze, c’è nella sua struttura urbana ordita lungo un cardo ed un decumano impostato dall’architetto romano Armando Brasini ma completato dal toscano Gherardo Bosio, c’è nel disegno dei suoi edifici principali disegnati e ideati sempre dal maestro fiorentino coevo di Giovanni Michelucci ma purtroppo morto molto prima di lui, ad appena 39 anni, nel 1941. A Tirana Bosio gestisce l’Ufficio Centrale per l’urbanistica e l’edilizia e porta come collaboratore l’ingegnere Ferdinando Poggi nipote di quel Giuseppe Poggi a cui si deve l’immagine e la sostanza di Firenze Capitale d’Italia. Ma non è nei nomi dei protagonisti che si consolida e prende forma in terra albanese un pezzo d’Italia, ma nel trasferimento di una genetica urbana che rende la capitale dell’Albania – divenuta tale l’11 febbraio 1920 – familiare per ogni visitatore italiano che ne riconosce i tratti identitari derivati da una propria consistenza fisica e da caratteristiche morfologiche che sono comuni a tutte quelle città italiane, e sono molte, trasformate durante gli anni del fascismo. A Tirana è riconoscibile l’ordine monumentale dell’Eur di Roma dove la prospettiva centrale si snoda lungo un asse che muove dalla centrale piazza Skanderbeg alla terminale piazza Madre Teresa sul cui fondale si staglia il bianco travertino dell’edificio dell’ex Casa del Fascio oggi sede universitaria della Scuola Politecnica.
Su questi fondamenti perfettamente percepibili si sono sovrapposti gli edifici pubblici, pochi, del periodo comunista che va dal 1946 al 1991, una grande quantità di piccoli parallelepipedi pauperisti di ispirazione vagamente sovietica, e successivamente una massa informe di edifici speculativi costruiti caoticamente dopo la caduta del dittatore Enver Hoxha fino ai primi anni 2000. Ma nella Tirana di oggi sono chiaramente distinguibili altre azioni rigeneratrici decisive: le sponde del piccolo fiume Lana oggi caratterizzato da due argini verdi ma pochi anni or sono simbolo della corsa sfrenata all’abusivismo selvaggio che aveva brutalmente costruito addirittura dentro l’alveo; e qualche ricordo delle facciate dipinte degli edifici residenziali più grandi, intelligente tentativo di rifare, con poche risorse, il trucco ad una città ferita dalla povertà e dalla bulimia costruttiva di inizio millennio. Entrambe queste due azioni strategiche, la demolizione totale delle costruzioni illegali lungofiume e la “pittura delle facciate” sono il frutto dell’azione culturale operata dall’allora Sindaco Edi Rama (dal 2000 al 2011). A lui si deve molto della Tirana di oggi ed in particolare l’intuizione strategica di organizzare concorsi di architettura e di urbanistica e di invitare a parteciparvi alcuni tra i migliori architetti ed artisti a livello internazionale.
Quale strategia abbia perseguito Rama è fin troppo chiaro ed evidente, da un lato la convinzione che la città per risollevarsi abbia bisogno di nuove icone e monumenti nonché della creatività dei migliori protagonisti a livello mondiale, dall’altra la convinzione che gli architetti locali non abbiano la forza di contrapporsi all’aggressività dei pochi nuovi ricchi albanesi ai quali, dopo decenni di povertà, non è facile chiedere consapevolezza sul piano culturale rispetto alla necessaria attività di rigenerazione urbana cui uno stato povero non può far fronte con le sole risorse pubbliche. Rama riesce quindi in una impresa impossibile: far diventare la capitale albanese attrattiva per i migliori architetti a livello mondiale mostrandosi come un laboratorio urbano dove sperimentare liberamente quelle idee che hanno fatto maturare anche il livello di una professionalità autoctona schiacciata dalla dittatura precedente e dalla povertà. Se proviamo a digitare su google “Rama sindaco” compare una erronea definizione che lo dipinge come ex-artista a cui si deve la celebre frase secondo cui “essere il Sindaco di Tirana è la più alta forma di Conceptual Art. È arte allo stato puro”. L’errore coincide proprio con la prima affermazione poiché Edi Rama non è un ex artista ma un artista pienamente in attività prestato alla causa del suo paese e, anche adesso che è Primo Ministro dell’Albania (dal 2013), per incontrarlo di domenica o nelle giornate di pausa dalla intensa attività di governo bisogna raggiungerlo in un capannone alla periferia della città dove assieme ad un maestro ceramista plasma e cuoce le sue sculture di terra.
Di questa carica artistica e intellettuale si è alimentata, al di là dei giudizi politici e delle convinzioni personali, l’identità della Tirana di oggi guidata dal Sindaco Erion Veliaj (dal 2015) che ha accelerato e proseguito l’opera di modernizzazione congiuntamente al rafforzamento di una rinnovata continuità urbana che si manifesta nella nuova piazza Skanderbeg, concorso in cui ero in giuria, vinto con pieno merito e qualità dagli architetti belgi 51N4E che la hanno sapientemente pedonalizzata e “pietrificata”, e con il prolungamento dell’asse principale della città progettato dallo studio inglese Grimshaw che segnerà lo sviluppo della nuova città verso Nord. Naturalmente i miei giudizi sulla città sono segnati da un palese conflitto di interessi che vorrei esplicitare e rendere il più evidente possibile poiché è difficile mantenere obiettività critica su un luogo e su vicende che hanno segnato momenti importanti della mia vita di architetto. Non voglio con questo minimizzare problemi e questioni irrisolte della città ma sottolineare che la mia profonda conoscenza di Tirana, la sua frequentazione, la partecipazione ai suoi processi trasformativi, il disegno dei suoi edifici più iconici come la Torre 4ever green oggi Alban Tower e lo stadio Nazionale dell’Albania, hanno costruito un legame affettivo che certamente mi rende meno incline a sottolineare il tanto che ancora manca da fare rispetto all’enormità di quanto è stato sin qui fatto. Inoltre, in questi anni, altri architetti italiani come Stefano Boeri che ha disegnato il piano della Nuova Tirana immaginando una efficace cintura verde di protezione e freno all’espansione illimitata, il gruppo dei giovani Baukuh, Mario Cucinella che dovrebbe a breve realizzare un bell’edificio nel centro della città, hanno lavorato continuando quella tradizione di una Tirana italiana che certamente mi interessa e mi coinvolge.
Ovviamente non tutto ciò che avviene in un laboratorio sperimentale potrà dirsi riuscito ma il fatto che in poche centinaia di metri si possano confrontare le visioni architettoniche di alcuni tra i più conosciuti studi a livello mondiale, da BIG impegnato nella costruzione del nuovo teatro, a MVRDV e Winy Mass alle prese con un gigante urbano di cui dovremo comprendere la scala, progetti che rendono l’atmosfera della città elettrizzante come capita a poche metropoli europee oggi. Ovvio che le questioni aperte e i nodi irrisolti siano tantissimi e di grande complessità: la risoluzione dei problemi della mobilità e del traffico, la qualità delle realizzazioni talvolta scadenti rispetto alla qualità dei progetti spesso manomessi per motivi economici e culturali da una classe imprenditoriale poco incline ad uniformarsi agli standard europei, l’enorme costo dei terreni e della rendita fondiaria, la scarsità di risorse della municipalità, la conseguente bassa qualità dei servizi in relazione alle principali capitali europee. Tutto vero ma quando sono atterrato a Tirana per la prima volta nel 2003 il vecchio aeroporto sembrava una stazione per gli autobus e la strada per raggiungere la città era sterrata…
E non era tanto tempo fa.

Marco Casamonti

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