Riuso industriale

C’è una definizione ormai consolidata nel linguaggio comune, “archeologia industriale” che letteralmente rimanda allo studio di strutture antiche dedicate originariamente all’industria. Il tema dell’antichità e dello studio a cui etimologicamente si rifà il termine “archeologia” non appare sempre appropriato poiché molti degli edifici per il lavoro recuperati o trasformati per altre attività appartengono spesso ad un passato recentissimo, che non ha niente di antico, anzi a dirla tutta, sono talvolta espressione di una modernità appena sfumata o di condizioni economiche mutate che portano all’abbandono di manufatti costruiti anche da poche decine d’anni. In questi casi lo “studio dell’antico” richiede ben poche ricerche mentre risulta di grande interesse la possibilità di riusare questi manufatti per nuove attività coerenti con il contesto socioeconomico attuale, così come la possibilità di ri-generare parti di territorio già costruite. In tal senso appare più opportuno parlare di “ecologia industriale” cioè della scienza che ha per oggetto lo studio delle funzioni di relazione tra l’uomo e l’ambiente in cui vive che, nel caso di specie, riguarda i complessi e gli edifici dedicati ad attività produttive non più in uso. Il fatto che le funzioni originarie non siano più attive richiama conseguentemente una oggettiva responsabilità ambientale che si riflette nell’obiettivo di poter riciclare – quindi avviare ad un nuovo ciclo di vita – spazi ed edifici su cui sono già state investite risorse sia in termini economici che di consumo di suolo. Va inoltre sottolineato ed è, a parere di chi scrive, l’aspetto più importante dal punto di vista disciplinare che tali spazi costituiscono l’esempio più convincente di congiunzione tra etica ed estetica, poiché nel loro funzionalismo di necessità rimandano alla storia di attività umane straordinarie, così come della capacità di mettere assieme materie e materiali, e quindi produzioni utili, in generale, al benessere sociale o comunque agli obiettivi che una comunità si pone in termini di produzione. Questa aurea di abilità, questa atmosfera di sapienza e capacità umane “permane” nei manufatti industriali palesandosi tanto nella sproporzione dimensionale tra le necessità dell’abitare e quelle del produrre, quanto nell’uso estremo di materiali, dal cemento armato all’acciaio, al legno, utilizzati con ingegno in modo del tutto differente dagli edifici residenziali ordinari che compongono la parte principale dei nostri tessuti urbani. Tale eccezionalità spesso immotivata per nuove funzioni, anche solo sul piano della logica economico-dimensionale, rende tali manufatti straordinari ed evocativi, unici e rappresentativi di un passato che torna di attualità per la propria natura singolare e immaginifica. L’architettura rende così possibile l’inizio di un nuovo ciclo di vita a dei manufatti che dimostrano ancora di possedere enormi e nuove possibilità di utilizzo. Un “restauro attivo“ che sovrascrive, su pagine già scritte, nuove storie e nuovi testi su antichi contesti.

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