Rivista internazionale di architettura e arti del progetto settembre/ottobre 2012

New geometries
I tempi eroici della sperimentazione sullo spazio e sulle forme complesse sono consumati nella fatica di chi, convinto della necessità di quella ricerca, costringeva se stesso e i propri collaboratori ad osservare allo specchio le catenarie di fili appesi al soffitto guardandoli allo specchio, o con la testa sottosopra, per poi ridisegnarli e riprodurne le sagome sulla carta; oppure, come notoriamente usava fare Antoni Gaudí che dava vita alle proprie viscere fitomorfe utilizzando reti da pesca, o di catenelle, che interagivano con sistemi di pesi in grado di modificare e orientare il reticolo geometrico, al fine di ricavare visioni inedite e coinvolgenti. Quella ricerca unica ed irripetibile, per la propria intrinseca complessità e conseguentemente abilità, avrebbe avuto pochi epigoni e altrettanto minori committenti visionari disposti ad assumersene l’onere costruttivo di cui per certi versi solo un espressionismo premoderno ha colto il senso e continuato la sfida alla semplificazione spaziale e formale ridotta allo studio dell’assembramento di volumi stereometrici e rigorosi. Tuttavia quel modo di comprensione e concezione dello spazio, riluttante ad essere rappresentato e descritto nelle cartesiane visioni in pianta, sezione ed alzato, ha potuto trovare una diffusione più allargata grazie alla facilità con cui il computer design e i software specializzati hanno reso accessibile a tutti lo studio delle forme complesse e derivate dall’applicazione di geometrie non lineari. Pertanto acclarato il proliferarsi contemporaneo di progetti regolati da tracciati che inseguono non soltanto linee o generatrici curve o l’incastro tra queste, ma spazialità nuove e complesse portate talvolta all’estremo del “continuum visivo”, viene da chiedersi se questo corrisponda ad un reale sentire e a una concreta volontà dell’architetto o, viceversa, non rappresenti già un modo se non una moda resa conveniente da mezzi tecnici oggi disponibili e precedentemente negati ai più. Senza indulgere verso un nostalgico luddismo, e constatato che l’architettura come disciplina è kantianamente un’arte di servizio che serve uno scopo l’abitare nelle sue molteplici declinazioni e che tale arte si esprime per mezzo di una tecnica e di mezzi tecnici adeguati alla sua progettazione e costruzione, niente potremmo dire sul diffondersi di consuetudini concettuali derivate.
Al contrario, a giudizio di chi scrive, tale accessibile facilità alla modellazione spaziale può togliere all’architetto il tempo della ricerca e della riflessione atrofizzando il desiderio tutto critico e intellettuale della priorità del pensiero sull’azione, della teoria sulla tecnica ed in ultima analisi dell’uomo sulla macchina. Ciò non significa che al computer design non possa essere attribuita la liceità di esplorare strade che altrimenti sarebbero negate, anzi tale ambito di ricerca sembra lontano dall’esaurire le sue conclamate potenzialità, tuttavia rimane certo che l’architettura sia una disciplina che deve essere guidata da una intenzionalità ed una capacità di visione che la sposta più verso l’arte letteraria e il racconto piuttosto che verso l’arbitraria ricerca di una plasticità che in molti casi finisce per l’esaurirsi in se stessa, nel virtuosismo plastico e costruttivo. Se non vi è una ragione ultima che sostiene e sostanzia il progetto, il progetto non c’è, rimane un puro esercizio grafico e talvolta, purtroppo, costruttivo.

Marco Casamonti

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