Rivista internazionale di architettura e arti del progetto luglio/agosto 2016

The architecture of sacred space and the search for a needed sacredness
Ci sono temi, argomenti e filoni di ricerca che subiscono l‘influenza del tempo ed inevitabilmente risentono del dibattito e dell‘attenzione generale. Accade quindi che l‘architettura sacra: chiese, moschee, sinagoghe, templi, spazi per la preghiera e luoghi di culto, storicamente al centro di ogni espressione culturale e linguistica, rivestano negli interessi degli architetti d‘oggi – che esprimono di riflesso le attese dell‘ambiente socioculturale circostante – una posizione che sembra del tutto marginale. Eppure non sono lontani gli anni, almeno in Italia, della costruzione della grande Moschea di Roma, forse l‘opera più importante e riuscita di un architetto come Paolo Portoghesi che sul tema ha investigato a lungo; così come la stagione dei concorsi organizzati dalla CEI per la costruzione di nuove chiese oppure l‘interesse di istituzioni come la Biennale di Venezia che non molti anni fa – anche se sembra passato un tempo interminabile – aveva celebrato il tema con la mostra su “Lo spazio sacro nella modernità“. Anche l‘ambiente culturale internazionale sembra confermare questa tendenza e, a parte esempi isolati e sporadici, tra i quali il “tempio dell‘acqua“ e la “chiesa della luce“ di Tadao Ando in Giappone, la cattedrale di Los Angeles di Rafael Moneo, il grande complesso di padre Pio progettato da Renzo Piano a Pietralcina, certamente il tema del sacro non ha attraversato gli interessi degli architetti contemporanei più conosciuti e studiati. I motivi di tale reciproco disinteresse sono molti e probabilmente la trattazione della questione risulta più complessa della semplice disamina che può essere realizzata attraverso le pagine di una rivista, tuttavia proviamo ad individuarne alcuni cercando, nella concretezza della sintesi, di cogliere gli aspetti principali di un distacco che probabilmente dipende dall‘incomunicabilità che interessa, in modo oggi preoccupate, il dibattito interreligioso. Ovviamente vogliamo attenerci e circoscrivere la riflessione all‘ambito disciplinare dell‘architettura anche se è evidentissimo che il radicalizzarsi di scontri, guerre, terrorismo e atteggiamenti di estremo integralismo o di cieco razzismo non aiutino in alcun modo la ricerca in ambito artistico che di fronte all‘enormità degli eventi risulta apparentemente fuori luogo. Affidare all‘architettura un potere demiurgico e salvifico sarebbe assolutamente ingenuo ma anche considerare del tutto ininfluente la sua capacità narrativa e quindi comunicativa, o anche semplicemente strumentale, costituisce un errore che non deve essere compiuto almeno dalla comunità scientifica. Con un parallelo che attraversa le discussioni e i fenomeni di stringente attualità possiamo dire che se la disciplina dell‘architettura niente può di fronte ai recenti fenomeni migratori di migliaia di persone che scappano da fame e distruzione, molto può nella ricerca dello sviluppo di modelli abitativi pensati sia per la fase dell‘emergenza sia per la fase successiva connessa all‘integrazione e all‘accoglienza indipendentemente dalle consuetudini offerte dal mercato evidentemente incentrate sulla logica del profitto. Ma questa logica che ghettizza e isola le comunità, ormai è chiaro ed evidente a tutti, radicalizza lo scontro generando quel rifiuto e quell‘odio socio-culturale che costa molto di più della sua risoluzione. Parimenti in ambito religioso l‘architettura come disciplina niente può di fronte a fenomeni distruttivi come quelli in atto, tuttavia disinteressarsi complessivamente del tema, anche dal ristretto angolo visuale del proprio ambito disciplinare, certamente non aiuta poiché l‘abitare include anche il diritto al culto e alla pratica della propria fede e usanze religiose. Probabilmente il disinteresse che oggi mostra globalmente la comunità scientifica rispetto al dibattito culturale sullo spazio sacro, se giunge alle medesime conclusioni, ha origini e ragioni diverse tra occidente e oriente. Non vi è dubbio alcuno infatti che nel corso dei secoli, ma in particolare negli ultimi decenni, l‘architettura sacra abbia perso rispetto alla collettività e alla società quel ruolo di assoluto protagonista che la storia ci ha tramandato. Anticamente la città ruotava intorno alla cattedrale, e in moltissime piazze europee il palazzo del Governo e la chiesa dominavano architettonicamente la scena urbana. Oggi evidentemente il potere della chiesa sulla società è enormemente diminuito e con questo è venuta meno la necessità di esprimere tale forza anche in termini comunicativi attraverso l‘arte che ha trovato nella società civile gli ambiti della propria ricerca e della propria espressione. L‘architettura sacra ha perso inoltre, con il moderno, il suo potere evocativo valga per tutte la critica posta da Giulio Carlo Argan contro la Cappella di Ronchamp di Le Corbusier accusata di essere eccessivamente mistica e monumentale tanto da tradire i fondamenti stessi proposti dal padre della “machine à habiter“ conseguenti la logica di uno stretto funzionalismo. In definitiva la catena evolutiva della riflessione architettonica che per secoli ruotava attorno all‘architettura sacra si è interrotta senza saper proporre modelli nuovi altrettanto capaci di generare emozioni estetiche e sensibili. La mancanza di sacralità degli spazi sacri contemporanei, che per molti ha significato rendere più familiare e domestico il rapporto con la preghiera, in realtà ha impoverito e reso tristi spazi un tempo aulici e meravigliosi. Nei paesi di cultura islamica, pur rivestendo la religione il fondamento e il centro degli interessi complessivi della società, il dibattito sull‘architettura sacra non evolve probabilmente a causa dell‘ortodossia e dell‘immodificabilità dei modelli tradizionali che quindi inibiscono la ricerca in ambito architettonico. Possiamo pertanto ritenere che tanto la perdita di protagonismo dell‘architettura sacra nella cultura occidentale, quanto l‘eccessivo ruolo di riferimento della religione nell‘ambito della comunità islamica inibiscano la possibilità di elaborare riflessioni sul tema riducendo lo spazio per una ricerca progettuale approfondita e continua.

Marco Casamonti

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