Rivista internazionale di architettura e arti del progetto settembre/ottobre  2016

Reflections on the earthquake disaster
Nei giorni del dolore e della disperazione per il disastro del terremoto che ha colpito il centro Italia è difficile parlare di architettura, di edifici, di costruzioni, poiché ogni edificio storico, crollato a causa del vibrare della terra, è visto dai più come un potenziale assassino mentre la mente e il cuore, anche degli addetti ai lavori, sono talmente colpiti dalle immagini strazianti del disastro da far perdere, indistintamente, cognizione e lucidità di analisi. Le costruzioni del passato, specialmente nei piccoli e antichi centri appenninici sono stati costruiti in maniera spontanea con i materiali, pietre e sassi, trovati in loco ed eretti in modo semplice lavorando sulla massa e sulla gravità che reagisce benissimo al tempo e alle intemperie in condizione di assoluta stabilità. Ma la terra in certe aree del mondo è instabile, dinamica, e si adatta vibrando alla lenta ma continua mutevolezza della crosta terrestre. Spesso, ed in passato in Italia è successo dopo il terremoto dell‘Aquila (6 aprile 2009), si sceglie la via breve di costruire nuove case e nuove città con il solo obiettivo di resistere al sisma abbandonando i centri storici al loro destino e all‘inabitabilità. Tuttavia questo percorso si scontra con il senso di identità e di appartenenza e con la volontà assoluta degli abitanti di non staccarsi dalle loro case, dal loro territorio, dal loro patrimonio immaginario e fisico che costituisce l‘ossatura di una cultura che non può e non deve essere dispersa, di un paesaggio che non può e non deve essere abbandonato. Sappiamo ed è noto che esistono le tecniche e le tecnologie per rendere sicuro un edificio senza snaturarne la sua consistenza architettonica la bellezza del suo antico sistema insediativo, la meraviglia di superfici che sono la diretta prosecuzione del suolo, sappiamo che l’unica via possibile è intraprendere una generale e complessiva opera ristrutturazione e del patrimonio costruito lasciando però, con la messa in sicurezza dei fabbricati, l’opportunità che questi possano anche adattarsi con le rinnovate esigenze delle persone, solo così questa necessaria quanto non procrastinabile opera di riqualificazione può divenire reale. Dobbiamo cioè comprendere che il problema non è soltanto tecnico, o di semplice resistenza agli eventi, ma anche sociale, ambientale, di qualità della vita delle persone che possono attivarsi complessivamente solo se vedono in questa generale opera di consolidamento del costruito anche una possibilità di miglioramento delle proprie condizioni abitative. Si ripropone allora un tema fondamentale per ogni contesto consolidato e cioè di come intervenire e costruire sul già costruito, su come riqualificare, aggiungere, innestare, modificare l’esistente rispettandone il valore identitario, come rendere ogni edificio resistente agli eventi e al contempo flessibile e adattabile alle mutate esigenze degli abitanti. Si impone quindi per la cultura architettonica una generale riflessione sul rapporto tra nuovo e preesistenze ambientali giacché il primo occuperà nell‘attività degli architetti che operano in contesti consolidati una porzione minima delle proprie energie lavorative e intellettuali, mentre il secondo costituirà la sostanza della maggior parte degli interventi progettuali futuri. A questo tema è dedicato questo numero “pensato” prima del tragico evento sismico di fine agosto ma quanto mai attuale alla luce di quanto accaduto.

Marco Casamonti

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