Rivista internazionale di architettura e arti del progetto luglio/agosto 2017

Il paesaggio dell’abitare

L’architettura è arte, è cioè quella disciplina nell’ambito delle arti che si serve della tecnica e altri strumenti per costruire i luoghi dell’abitare. Architettura, Arte, Abitare costituiscono incidentalmente, ma a mio giudizio, intenzionalmente, una figura retorica, quella dell’allitterazione, che sta alla base del processo progettuale dove molti degli stessi elementi, siano essi colonne, pilastri, muri, vengono variamente ripetuti per realizzare un’opera. L’opera secondo alcuni studiosi – come non ricordare le battaglie di Bruno Zevi – diviene architettura solo se è in grado di contenere uno spazio utile per le attività umane, cioè per abitare. E ancora possiamo osservare che le tre parole chiave – Arte, Architettura, Abitare – iniziano con la lettera “A” un ideogramma evidente che raffigura un tetto, una casa, una capanna primitiva come avrebbe sentenziato nel settecento Marc-Antoine Laugier. Perché questa affannosa e complicata ricerca dell’archetipo naturale? Perché per appartenere alle arti e conquistare la bellezza, il sublime, concezione che perdura almeno fino alla fine del XIX secolo, l’architettura al pari delle altre arti doveva essere costruita a immagine e somiglianza della natura che per l’architetto è appunto un luogo con un tetto dove abitare. Successivamente quel tetto sarebbe diventato piano o addirittura un giardino, secondo uno dei famosi dettami lecorbuseriani, ma il senso e il valore dell’architettura rimane legato inscindibilmente al ruolo dell’abitare. Tuttavia le attività umane sono molteplici, potremmo dire infinite in termini di modi e quindi di modelli, ed investigare questi modi e modelli non costituisce uno sfizio, un divertissement, ma una precisa e costante azione di ricerca che fa dell’architettura anche un sapere scientifico dove, senza il rigore della sistematica, diviene in ogni caso rilevante considerare in termini evolutivi le specie e le sottospecie esistenti comprendendone le caratteristiche di genere, famiglia, ordine e classe. In un ipotetico schema ad albero, dove la casa costituisce il tronco principale, esistono infinite varianti ognuna delle quali contiene caratteristiche diverse tipologicamente, e quindi strategicamente, studiate per rispondere alle varie modalità di abitare che dipendono dall’appartenenza geografica, sociale ed economica di ciascun abitante. Ma prima ancora dipendono dal genere selezionato: la casa per abitare, la casa per studiare, la casa per pregare, la casa per divertirsi e così via. Da ciò si deduce quanto sia complesso e articolato il modo di agire e operare dell’architetto costantemente in bilico tra arte e scienza, ma anche tra letteratura, teatro e sapere pratico, quello del costruire; una sorta di trasversalità che riporta all’umanesimo, all’idea dell’artista universale, una figura “leonardesca” oggi totalmente fuori moda nel panorama contemporaneo delle specializzazioni estreme, eppure così irraggiungibile e affascinante da farci insistere con caparbietà alla ricerca di un agire onirico lontano e difficile. Continuare a studiare, ricercare, catalogare, modificare, interpretare è un compito ineludibile. Indagare oltre la forma, l’apparire, la calligrafia, l’anima, la struttura e la sostanza delle case/cose che progettiamo costituisce l’argine alla deriva dall’omologazione e dalle logiche speculative del mercato. Un settore economico, il real estate, che ha pochissimo di “reale” e sempre più spesso distrugge e mortifica il paesaggio rendendo triste e uniforme l’abitare che rimane fortunatamente una esigenza generale che si compie, inevitabilmente, individuo per individuo. Se si comprendono queste motivazioni si comprende perché ancora oggi ha senso ed è utile continuare a produrre una rivista, indagare il senso del nostro lavoro, esistere ed insistere a pensare come architetti. Perché l’architettura è l’arte dell’abitare.

Marco Casamonti

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