Rivista internazionale di architettura e arti del progetto marzo/aprile 2018

Architecture versus wine
Ci sono eventi e circostanze di cui l’architettura sembra alimentarsi con maggiore efficacia rispetto ad altre, o meglio ci sono attività umane che necessitano dell’arte del costruire, cioè del contributo di quella disciplina, l’architettura, che consente di plasmare lo spazio per realizzare luoghi e immagini, dove “abitare” significa compiere una esperienza conoscitiva. È il caso di tutte quelle discipline che ruotano attorno al vino. Me ne sono convinto studiando per molti anni gli spazi della produzione; assaggiare e godere del piacere del gusto ha contribuito ha creare luoghi prima sconosciuti e, con questi, nuove tipologie di edifici e ambienti dove l’esperienza della degustazione è divenuta anche olfattiva e visuale e con quindi complessivamente coinvolgente. Le ragioni sono principalmente legate all’evoluzione che il vino ha avuto nella cultura occidentale nell’ultimo secolo, passando da alimento centrale nella dieta delle classi operaie a bevanda consumata per piacere. Con ciò si è compiuto un salto temporale che riconduce alle origini, alla tradizione dei banchetti così di moda durante i fasti dell’Impero romano, secondo una visione tanto importante e centrale della magica bevanda da coinvolgere poteri e divinità che riempiono l’iconografia classica. Come allora, la contemporaneità considera i luoghi del vino, dalla produzione al consumo, come ambiti del tutto particolari, dedicati alla nobile pratica dell’Otium, luoghi dove il piacere si misura e si esprime oltre che nel gusto, nell’essenza della forma e del colore, nella sensazione del compimento di una esperienza mistico sacrale che richiede controllo della luce, silenzio, particolari umidità e temperature. Insomma l’oggi torna a considerare e concepire tali luoghi come un campo in cui l’architettura recita un ruolo di assoluta protagonista, perché intimamente contribuisce con efficacia al compiersi di una emozione sensitiva. Che si tratti di una cantina, di una enoteca, di un ristorante o in ogni caso di qualsiasi altro ambiente dove il vino è in qualche modo protagonista, tocca al design, alla cura dei materiali, al comfort spaziale, accompagnare e definire i contorni e i contenuti di quegli ambienti. Ritengo che ciò sia anche intimamente legato alla possibilità di esprimere, con il vino, il senso di un insieme di valori etici che hanno a che vedere con l’autenticità, il rispetto della natura, le capacità alchemiche e compositive degli enologi, capacità che sono richieste in verità anche all’architetto chiamato ad immaginare spazi dove l’identità e le caratteristiche personali, tanto degli avventori quanto degli autori, costituiscono gli ingredienti principali del proprio agire.

Marco Casamonti

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