Rivista internazionale di architettura e arti del progetto novembre/dicembre 2021

Cultural identity and design

La prima volta che sono andato in Vietnam dopo pochi giorni passati ad osservare le architetture coloniali di Ho Chi Minh e i suoi nuovi edifici, frutto di un “international style” poco elettrizzante, ho fatto visita allo studio di un architetto di dieci anni più giovane di me di cui conoscevo e apprezzavo l’opera, i lavori, il pensiero, ma che non avevo mai conosciuto personalmente. Accompagnati da un’amica che ci ha introdotto, appena varcata la soglia di ingresso, siamo stati invitati a toglierci le scarpe e proseguire la visita dello studio scalzi come tutti gli architetti dell’atelier. Nonostante fossimo da alcuni giorni nell’antica capitale ci siamo resi conto di essere realmente entrati in Vietnam solo allora. I disegni sulle pareti, le immagini, i plastici in costruzione – avremmo capito ancor meglio qualche giorno dopo visitando le campagne attorno alla città e fotografando i tanti laboratori artigiani che intrecciano bambù per produrre stuoie e cappelli – altro non erano se non la prosecuzione di una antica tradizione culturale che lo studio si sforzava di trasformare da artigianato di base in sublimi spazi architettonici: cupole, portici, sale ipostile.L’incontro fisico si è immediatamente trasformato in un incontro di visioni comuni tendenti a vedere nel lavoro dell’architetto l’opportunità per intrecciare conoscenze ed esperienze personali al fine di riconoscere nel progetto l’affermazione di quell’identità culturale che ogni opera di architettura dovrebbe saper esprimere. Ma se i riferimenti o lo studio delle tradizioni locali non sono sufficienti per costruire l’abitare di domani, parimenti non lo è per Vo Trong Nghia l’innovazione tout court priva di contenuti e rimandi alla propria storia, compresa quella personale poiché per comprendere il lavoro di ogni artista e di ogni opera d’arte non si può prescindere dall’analisi della biografia dell’autore.
A svelare la provenienza di una ricerca tanto particolare quanto originale per il suo paese concorrono infatti gli anni della formazione in Giappone, prima al Nagoya Institute of Technology, poi alla Scuola di Architettura dell’Università di Tokyo, dove certamente Vo Trong Nghia sviluppa all’interno della propria ricerca quell’orgoglio e quel senso di appartenenza che è proprio della migliore produzione del Sol Levante degli ultimi decenni. Ma ciò che interessa dell’opera dell’architetto vietnamita è la sua chiara volontà di prescindere dalla calligrafia e dallo stile per ritrovare il senso del proprio lavoro nell’interpretazione della diversa specificità dei temi oggetto della progettazione; così spazia dall’uso delle ceramiche tradizionali al cemento per approdare con maggior successo ed energia nella lavorazione di quel bambù che lo vede anche costruttore ed inventore di tecniche di assemblaggio. Ritengo ci leghi una stima reciproca oltre ad obiettivi e finalità culturali comuni, e concludiamo il nostro incontro con il desiderio di provare a lavorare assieme. Torno una seconda volta in Vietnam, vado nuovamente allo studio, ma Vo Trong Nghia non c’è, è in ritiro spirituale in India. Lo chiamo per provare a collaborare assieme su un progetto che abbiamo in Vietnam ma per il nostro committente riulta troppo complicato, torno in Italia e programmiamo un numero monografico sul suo lavoro che adesso ci accingiamo,
con piacere, a presentare.

Marco Casamonti

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