I più sensibili architetti dell’est del mondo, in particolare molti dei migliori esempi in Cina, hanno iniziato a contrapporre all’opulenta visione dell’occidente una dimensione più domestica e introspettiva dell’abitare. Naturalmente generalizzare è sempre sbagliato poiché analoghe riflessioni sono state sperimentate con successo tanto in Sud America quanto in Africa, tuttavia è certo che il modello anglosassone della ricerca della perfezione costruttiva, dello stupefacente in termini formali e dell’esasperazione tecnologica, mostri tutta la sua inadeguatezza di fronte a uno scenario globale che deve fare i conti con i cambiamenti climatici e sociali dove i paesi poveri sono sempre più poveri o i pochi cittadini ricchi sempre più ricchi. Fenomeni migratori di massa, la ricerca di migliori condizioni di vita e la necessità di non sprecare risorse – anche quando disponibili – impone un’architettura – e quindi un modo di abitare il pianeta – più misurato, concepito e costruito in maniera da non alterare ulteriormente quel delicato equilibrio tra ambiente naturale e ambiente artificiale che risulta in molti casi già fortemente compromesso. La consapevolezza del periodo nel quale stiamo vivendo ha fatto invecchiare di colpo alcuni modelli interpretativi di cui la contemporaneità non sente più il bisogno, mentre è forte l’attesa e l’attenzione verso soluzioni improntate alla semplicità, all’uso dei materiali locali, alla riscoperta di tecniche costruttive tradizionali, così come al risparmio energetico e all’impiego di soluzioni a chilometro zero. Non è soltanto il trionfo dell’opaco sul lucido, del ruvido sul levigato, della normalità sulla perfezione, quanto della condivisione di valori inclusivi rispetto ad una esclusività che scopre quanto sia più appagante una gita in bicicletta rispetto ad un noioso viaggio in limousine. In questa logica si sposta e si modifica anche l’idea di lusso che abbraccia l’utile a dispetto del superfluo, che preferisce l’orto sul tetto alla Jacuzzi. Ancora una volta inutile generalizzare quanto sottolineare come la qualità della vita e dell’abitare si misuri con un metro che pone l’ambiente, il paesaggio, l’aria che respiriamo, il cibo di cui ci nutriamo, al centro di una revisione culturale di cui il progetto è ovviamente parte integrante e talvolta propulsiva. Inoltre appare chiaro che non si tratti di una tendenza momentanea o dell’affermarsi di un nuovo stile o di una diversa calligrafia, quanto di un sistema di valori incentrato su necessità ed emergenze che colpiscono globalmente e indifferentemente tutti, come ci ha insegnato la pandemia. Naturalmente rispetto a tali esigenze c’è chi risponde con immediatezza e chi necessita di una maturazione più lunga ma è certo che la direzione intrapresa non pare reversibile, almeno nell’immediato.

 

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